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Ho cominciato a fare politica attiva con la generazione antimafia.
Nel 1990, con Dalla Chiesa, Galasso, Orlando, Caponnetto, Mancuso.
Sono una di quelli che il 1992 se lo ricordano solo per fatti drammatici: Mani Pulite, Capaci, Via D’Amelio, le bombe a Roma, a Firenze, a Milano.
Sono tra quelli che il 23 maggio rimasero senza fiato, ma il 19 luglio rimasero anche senza speranze, sentendosi tanti Don Chisciotte che lottavano contro i mulini a vento. Ma a 20 anni le motivazioni si trovano in ogni attimo di vita e abbiamo di nuovo creduto che si poteva cambiare, dire un NO netto alla mafia con le nuove generazioni, con la presa di posizione della gente comune, con il coraggio di chi diceva NO al pizzo, ai ricatti, alle intimidazioni, alle bombe.
Con questa impronta sono cresciuta, ho continuato a fare politica, a fare formazione e istruzione in specie alle giovani generazioni in questi anni.
Poi arrivo a Pantelleria due anni fa.
Un posto meraviglioso in cui scopro anche la targa dedicata a Paolo Borsellino e alla sua scorta sulle mura del Castello.
Mi emoziono, come ogni volta che trovo ricordi dedicati ai martiri e agli eroi dell’antimafia e mi complimento con un conoscente di allora per l’omaggio dell’isola al magistrato.
La reazione non fu quella che mi aspettavo.
Con un’alzata di spalle e un gesto di fastidio, mi sentii rispondere: “Altre sono le cose importanti. Ancora con questa mafia. La mafia vera sono i politici”
Inutile dire che la persona in questione non è più tra i miei conoscenti da allora.
Fu lì che capii che la mafia è una questione di mentalità.
C’è chi questa mentalità non la condivide. Ad esempio i ragazzi che hanno ritrovato la lapide di Peppino Impastato in un bagno del Castello, l’hanno ripulita e l’hanno appesa su un altro muro e questo, se non altro, è stato un sollievo.
Diventata assessore alle Politiche Giovanili e Culturali è stata una delle mie prime preoccupazioni organizzare eventi dedicati ai più giovani proprio per diffondere la cultura contro la mafia. Avevamo organizzato un incontro, poi saltato per il Covid, ma che riproporremo, con le scuole e José Trovato, giornalista siciliano impegnato a denunciare la mafia dell’ennese.
La richiesta di collaborazione con Fiammetta Borsellino, da sempre impegnata a portare questo messaggio nelle scuole e tra i più giovani, è stato il passo successivo.
Era naturale che tra gli eventi della Stagione Culturale Estiva ci fosse più di un appuntamento che riportasse a questo importante tema.
Non solo il libro di Agnese Virgillito che ha aperto la Stagione, ma il toccante spettacolo di Livia Lupattelli che ha portato in scena la drammatica storia della giovane Rita Atria, e ancora il bellissimo monologo di Roberto Lipari di due giorni fa.
Ce ne saranno altri di richiami, perché la mafia non è solo un’organizzazione criminale, lo ripeto: la mafia è una mentalità.
E bisogna ricordare che è questa mentalità che bisogna combattere.
Ma poi la mentalità torna, subdola, anche in chi non ti aspetti e ribadisce il concetto illustrato due anni fa da quel mio ex-conoscente. Ne abbiamo avuto più di una dimostrazione in questi giorni.
Stamattina abbiamo cancellato, segnalato a Facebook e ai Carabinieri, un commento sullo spettacolo di Lipari che lo attaccava per aver chiuso lo stesso con l’emozionante monologo sulla mafia, giusto per dirne una.
Ma anche un noto esponente politico locale ha avuto il coraggio di definire lo spettacolo su Rita Atria ‘complicato da seguire’, ‘per quattro gatti’ e ‘soldi buttati’, rimpiangendo gli artisti che riempivano le piazze (in tempo di Covid certamente una brillante asserzione!), ignorando probabilmente che lo spettacolo aveva fatto il TUTTO ESAURITO e abbiamo dovuto mandare indietro molte persone.
Dimostrando, tra l’altro, di non essere in grado di comprendere il messaggio dello spettacolo stesso.
Dimostrando che non conta il messaggio.
Conta, ancora una volta, la ‘scena’, la passerella, il bagno di folla di altra ventennale memoria. E se in tempi di Covid la scena non premia a causa dei numeri contingentati e i posti a sedere, meglio ‘non fare’.
Queste asserzioni dicono tanto di certi dirigenti politici che si definiscono anche ‘progressisti’.
Fortunatamente c’è stato qualcuno che nei commenti gliel’ha fatto notare, ma è questa la mentalità da combattere.
Quella di chi pensa che la lotta alla mafia si faccia facendo le passerelle alle commemorazioni ufficiali, contando chi c’era un anno e chi un altro.
Perché è mafia dire che non si deve parlare di mafia, non importa il motivo.
La mafia non è morta, ce la portiamo dentro, l’ho detto, è una questione di mentalità.
Quando cerchiamo di non pagare le tasse, quando buttiamo i rifiuti dietro la prima curva, quando rubiamo l’acqua dalle fontanelle, quando abbandoniamo l’eternit nel terreno del vicino, quando diciamo che la colpa è sempre di qualcun altro e non facciamo niente per cambiare, quando boicottiamo tutto quello che non possiamo fare noi, quando facciamo delazione per screditare gli altri che nemmeno conosciamo, quando scarichiamo tutta la nostra frustrazione e odio in post lividi e rabbiosi contro il capro espiatorio di turno.
La mafia è una questione di mentalità.
Se non cambiamo noi, la mafia prospererà sempre.
Nella corruzione, nella sudditanza, nella furbizia, nel potere usato per opprimere e per guadagnare privilegi, nel vita mea mors tua.
Non contano le passerelle, non contano i sorrisi impostati per le foto di rito.
Conta la coerenza, la coscienza, il coraggio.
Questo è quello che dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi.
Questo è quello che dobbiamo lasciare in eredità.
Questa è la mentalità mafiosa che dobbiamo combattere.
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