I cuccioli di Horsham

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Ci ho messo un po’ a scrivere di queste due settimane ad Horsham. C’era troppo da metabolizzare. Tante cose ancora sono lì in attesa di essere filtrate, ma era giusto scrivere dei ragazzi, perché alla fine tutto gira intorno a loro.
Perché tutto è nato da loro.
Allora stamattina ho preso la penna e ho scritto.

Amo i felini.
La cosa che amo di più dei felini è la loro dinamica sociale. I felini (chi ha un gatto lo sa, ma vale anche per leoni, tigri e affini) hanno bisogno di contatto continuo. Attraverso di esso, esprimono affetto, sostegno, presenza, rassicurazione, appartenenza.
Probabilmente nell’ultima vita ero un felino. 
Ora però sono un essere umano e per di più adulto.
Non funziona purtroppo così per gli esseri umani adulti.
L’espressione delle emozioni, dei sentimenti, delle passioni sono, il più delle volte, viste come debolezze, vulnerabilità pericolose, fragilità da nascondere. 
È l’umanità che ha rinunciato alla sua parte più bella.
Quando ho accettato l’incarico per queste due settimane ad accompagnare dei ragazzi in un College, non sapevo cosa mi sarei trovata davanti. Avevo mille incertezze, come sempre quando inizio una nuova esperienza, ma non capivo ancora, come dice Ermal Meta ‘che bel rumore fanno le cose quando iniziano”.
Quelle con cui ho vissuto due settimane sono state anime belle, gentili, profonde, vere come si può essere solo da adolescenti.
Ho imparato tanto dal loro coraggio di essere sé stessi, di parlare dei propri sentimenti, di dimostrare il loro affetto, di non nascondere le lacrime, di mischiarle adorabilmente alle risate.
Ho visto un branco di cuccioli che si abbracciava, si coccolava, per conforto, per affetto, ma anche solo per ribadire ‘io sono qui per te’, in una condivisione di emozioni e sentimenti che coinvolge e regala speranza.
Li guardavo e mi dicevo ‘questa è la meglio gioventù’, questa che non fa differenze geografiche, di religione, etnia, orientamento sessuale, questa che si guarda negli occhi e dice tutto senza parlare.
Tanto amore fa male, parliamoci chiaro, persino ad una come me che ha nell’empatia il suo peggior difetto e il maggior pregio. Fa male perché questo piccolo universo perfetto dovrebbe durare in eterno, dovrebbe essere la regola. E invece non è così.
Fa male perché vivere tante emozioni con questa forza in un momento ed un luogo circoscritto crea dipendenza e rinunciarci è difficile, ma non necessario.
Le lezioni imparate da tutti noi devono portare a qualcosa, un seme che va piantato.
Io cerco di portarla nel mio mondo, loro proveranno a farlo crescere con loro in un mondo in cui non è facile restare uniti. 
Però si può fare. 
Lo facciamo con i miei compagni delle elementari, ancora vicini, pronti a condividere gioie e dolori dopo quarant’anni. 
Lo faccio con la mia migliore amica che riesco a vedere raramente eppure ci affoghiamo di emozioni nello scriverci quello che proviamo l’una per l’altra. 
Lo faccio con ogni rapporto che inizio, con ogni amicizia che coltivo, in ogni cosa che faccio. 
Se riesco io a vivere di emozioni, meglio ci riusciranno questi ragazzi dalle anime luminose, generose, pulite.
Essere umani è questo, la condivisione delle emozioni.
Non aver paura dei giudizi, il coraggio di essere sé stessi.
Questi ragazzi sono tutto questo e sono tanto altro.
Sono storie, sono vite, sono cicatrici, ma sono soprattutto speranze.
Sono dei cuccioli che guardano al futuro e a sé stessi con il cuore. Ci può essere vista migliore?
Sono loro che mi hanno regalato l’esperienza più forte della mia vita e di questo li ringrazio. 
Li ringrazio per l’affetto, per gli abbracci, per i baci, per le risate e per le lacrime che insieme abbiamo versato.
Per le parole profonde che mi hanno dedicato, per la loro attenzione e considerazione e per avermi fatto entrare, insieme a Gabriele e Renato, in quel piccolo universo incantato.
Un posto nel mio cuore l’hanno conquistato con la dolcezza e non lo lasceranno più.
Buona vita cuccioli.

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